Alla scoperta di Yogyakarta – Indonesia
Dov’eravamo rimasti? Alla notte di capodanno nella tranquillità di Purwokerto (Link alla 1 parte del viaggio). Ebbene, al mattino del 1 gennaio mi sveglio bello tonico, mi concedo un bagno nella piscina dell’hotel, con particolare imbarazzo perché c’erano sole famigliole locali molto pudiche che mi guardavano in modo curioso: ero in acqua senza maglietta e avevo pure dei tatuaggi! (Piccola parentesi: per la prima volta in tutti i miei viaggi intercontinentali, non ho avuto il coraggio di fare il bagno con il costumino slip, sarebbe stato troppo!)
E, dopo una cena molto magra la sera prima – il solito riso saltato – non vedo l’ora di approfittare della colazione inclusa nel prezzo. Fino a quando entro nella sala adibita e scopro che tutto il ben di dio del buffet è in realtà una specie di pranzo della domenica: riso, minestra, pollo, pesce; insomma, nulla che avrei mangiato neanche da carnivoro a quell’ora del mattino. Non mi aspettavo le briochine o gli Oro Saiwa, però un po’ di frutta o un uovo sarebbero andati benissimo; invece niente di niente che potesse soddisfare il mio appetito mattutino. E allora bevo un tè giusto per non sembrare scortese e, con la testa bassa, torno in camera a preparare lo zaino e mi dirigo alla stazione per prendere quel treno che ha ispirato l’inizio della mia scrittura.
Manca solo l’ultima tappa del mio viaggio: Yogyakarta. Una città magica, un po’ troppo turistica per certi versi, però con tantissimo da vedere. Sicuramente l’enorme complesso induista Prambanan, la magia del tempio buddista Borobudur, il vulcano Merapi, uno dei più attivi di tutta l’Indonesia. Non ho preso appunti in questi giorni, dunque mentre scrivo devo sperare che la mia memoria – a volte da “pesce rosso”, come dice sempre il mio caro amico Macondo – mi assista. E allora non farò un vero resoconto, bensì racconterò alcune cose random.
Comincio dall’ostello in cui ho passato le 3 notti in questa città: uno spettacolo! Come avrete visto, non ho pubblicizzato nessun alloggio finora perché erano senza infamia e senza lode, ma questo mi ha colpito particolarmente, il Laura Backpacker, consigliatomi tra l’altro dall’inglese Alex, il mio compagno di avventure a Bandung. L’ostello in sé non è il più figo al mondo, ma la formula “cena gratis” implica che a una cert’ora la maggior parte dei viaggiatori si trovino insieme a tavola e la socialità è garantita. Infatti ho conosciuto alcuni simpatici giovani (tutti chiaramente under 30, come quasi sempre accade negli ostelli), principalmente tedeschi e olandesi.
Con tutto questo gruppetto siamo andati l’ultima sera insieme a vedere l’eruzione del vulcano Merapi: una quarantina di minuti in taxi per arrivare in un posto sperduto, non semplicissimo da trovare al buio, da dove parte una passeggiata a scalini di poco più di mezz’ora che porta in una sorta di punto panoramico di fronte al vulcano che, per nostra sorpresa, è anche luogo di una tomba musulmana – non abbiamo capito di chi in realtà –.
Rimaniamo una mezz’oretta al buio ad ammirare alcune piccole, ma per noi assolutamente esaltanti, eruzioni. Non ho provato nemmeno a fare una foto perché il mio vecchio iPhone scatta fotografie pessime persino con la luce del giorno però per fortuna i miei giovani compagni di avventura sono decisamente ben attrezzati e ci pensano loro.
Cos’altro ho fatto a Yogyakarta? Ho guidato uno scooter – panico! – per andare a visitare il famoso tempio di Borobudur insieme al tedesco Luc…
…e in zona siamo anche andati al vicino tempio Mendut, con annesso un monastero buddista, forse il luogo più magico che abbia visto: destino – o meteo – vuole che proprio mentre siamo lì arriva un forte temporale; Luc decide di ripartire comunque con il suo scooter mentre io opto per non sfidare la pioggia e rimango un’ora seduto sotto una tettoia del monastero in una situazione veramente magica: leggendo, contemplando la forte pioggia equatoriale, ho sentito veramente una sensazione di serenità.
Tornato in città, ho inoltre visitato vari mercatini locali, ho fatto un po’ di shopping di Batik – sapevo che questi tessuti fossero in qualche maniera orientali ma ho scoperto solo in loco che in realtà erano proprio di Central Java – come souvenir per me a per alcuni miei cari.
Mi stavo per dimenticare: a Yogyakarta mi sono tolto anche lo sfizio di un paio di massaggi, rigorosamente fatti da massaggiatori uomini per il discorso religioso musulmano: il primo è stato una riflessologia plantare (pensavo fosse un bellissimo e dolcissimo massaggio rilassante ai piedi e ai polpacci, invece una sofferenza unica!!! Avevo voglia di piangere) in un posto un po’ spartano (5€), mentre il giorno dopo sono andato in un centro molto più figo e ho fatto una sessione di body relax altamente professionale (un’ora per la modica cifra di 7,50€… rapporto qualità/prezzo decisamente top!!!).
E nel mio girovagare sotto un pomeriggio di pioggia ho anche scoperto un’interessante marca indonesiana di trekking (Eiger) dove, per cifre sicuramente molto buone per i nostri standard europei, ho comprato un paio di articoli per le mie future camminate… la parte più divertente è stata la comunicazione con la commessa che per fortuna parlava un pochino di inglese: nella tipica gentilezza indonesiana, mi ringraziava ogni volta che mi porgeva un nuovo capo da provare. A quanto pare, sono stato il primo italiano a entrare in quel negozio 😊.
Purtroppo il viaggio stava giungendo al termine, al mattino dopo avevo l’aereo di ritorno da Giacarta. Per stare qualche ora in più a Yogyakarta, una città veramente interessante e piena di cose da fare, ho deciso di passare ancora la giornata lì e di viaggiare di notte su un treno veloce verso la capitale.
Prima di partire, ho avuto ancora il tempo di provare l’ultima esperienza equatoriale mentre salutavo gli ospiti all’ostello: superare – almeno parzialmente – la mia estrema fobia ai serpenti e prendere in mano il piccolo Meatball, un cucciolo di pitone che la proprietaria Laura, volontaria in un rifugio per serpenti, portava con sé ogni sera a cena. Ci sono volute tre sere per raggiungere questo risultato ma alla fine ce l’ho fatta!
E adesso si parte veramente, lascio questa meravigliosa isola per un viaggio breve ma che mi ha lasciato molto.
Alcuni commenti e suggerimenti: costi e meteo!
- Il costo della vita è veramente basso: tolto il volo, carissimo (sopra i 1000 € come ormai quasi tutti i voli per Asia e America in alta stagione), ho speso in media 30€ al giorno per vivere (10€ di media per dormire in camerate condivise in ostelli; 11€ per trasporti tra treni, pullman, taxi, eccetera; 9€ al giorno per mangiare, sempre street food o ristorantini per locals), ai quali bisogna aggiungere un totale di 90€ per alcuni extra durante le due settimane (musei, surf, guida trekking), 12€ per i due massaggi sopracitati, 80€ in totale per shopping e souvenirs. Insomma, se non fosse che non mi piace ritornare in posti che ho già visitato, ne varrebbe la pena un giretto più approfondito.
- Dicembre è l’inizio della stagione delle piogge, trovandosi Giava nell’emisfero sud, subito sotto l’equatore; però, come mi era già successo in Messico e a Panama (visitati anch’essi durante la stagione delle piogge) forse i cambiamenti climatici le stanno rendendo più deboli, perché al di là di alcuni rovesci sporadici – seppur molto forti –, l’acqua non è stata assolutamente un problema.
- Due settimane sono veramente poche per viaggiare in luoghi così lontani, considerando che il solo volo di andata e ritorno porta via più di due giorni. Già in passato, dopo essere stato in Tailandia nelle vacanze di Natale del 2019, mi ero ripromesso di scegliere destinazioni meno remote per il solo periodo natalizio, però alla fine ne vale comunque la pena. È solo un peccato perché in così pochi giorni non puoi allontanarti troppo dall’aeroporto di partenza/arrivo e, in questo caso, mi sono perso tutta la parte est di Giava che, a detta di altri viaggiatori e delle guide online, è forse la zona più cool!
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